Se hai visto anche solo un film dello Studio Ghibli, ti sarai accorto della religiosità con cui Miyazaki e collaboratori trattano il tema del pasto.
Il momento della consumazione a tavola è trattato con una delicatezza e una profondità devote, la preparazione delle portate è come una formula alchemica.


Allo stesso modo Valenberg, un pixel artist ormai nell’olimpo degli “affermati”, tratta il cibo con un rapporto amore/dipendenza quasi perturbante.

E’ un’autentica ossessione quella che Valenberg dipinge, come se la sua serie di Ramen fossero pensieri quotidiani e ripetitivi, mantra psicologici usati per sentirsi meglio.

I ramen di Valenberg sono miraggi elaborati dal nostro cervello durante la giornata, dopo uno stressante turno lavorativo seduti in fondo ad un autobus pregustando il momento in cui li si addenterà.
Quasi sempre la scelta delle ricette è simile se non esattamente ricalca quella dello Studio Ghibli: piatti della tradizione giapponese, noti anche per il loro lato estetico.
Ciò che li differenzia è proprio il calore con cui gli artisti vivono le scene: nidi familiari, caminetti e colori caldi prevalgono nell’uno, solitudine, cibi preconfezionati e macchinette nell’altro.


Solitudine contemporanea
Gli scaffali stipati di confezioni ipercolorate hanno qualcosa di sinistro, e i titoli scelti non sono da meno: “Consuma”, “Scegli”.
Slogan pubblicitari dell’era del consumismo, dei pasti porzione singola consumati in solitaria.
I tradizionali luoghi della riunione svaniscono lasciando spaizo a luoghi non-luoghi, spazi d’attesa che per un momento accolgono lo stomaco da saziare.
Tutta un’altra storia rispetto alla convivialità e l’amore sprigionati dagli stufati e le pentole borobttanti di Miyazaki.

Valenberg si riconnette a un tema scottante affrontati da certi artisti fine anni 90, in piena epoca post-rappresentativa, in cui il ritratto della collettività schizofrenica e consumata dal capitalismo è reso da scaffali colmi di merci nauseabonde e deprimenti.

