Il pixel vandalism è una recente e interessante corrente che si pone in un equilibrio fragile, a metà tra arte e programmazione.
Darle una definizione non è semplice, ancora meno è appunto inscriverla in una categoria.
Sicuramente richiede abilità e conoscenze appartenenti al mondo informatico; ma la componente creativa non si può certo tralasciare. In parole povere, le opere di pixel vandalism si potrebbero definire così: porzioni di vecchi codici resi in maniera grafica.


La poetica
Hiki, designer di cui abbiamo già ampiamente parlato, quasi in concomitanza con altri amici in giro per il mondo, ritiene di aver inventato questo nuovo genere estetico,
In sintesi, si tratta di prendere pezzi di codice, e con un rappresentatore grafico trasformarli in immagine, solitamente 128×128 pixel.
La teoria parte dal fatto di snaturare, come nella pop-art, pezzi di qualcosa non fine a se stessa (come un codice nascosto dentro la cartuccia), per poter permettere il funzionamento del gioco, e trasformarli, come nell’ hacking stesso in qualcos’ altro. In un immagine esattamente.


“Un ulteriore snaturamento della sua forma originale -prosegue Hiki- ho pensato potesse essere traslare queste schermate risultanti in dipinti analogici, per aggiungere l’ errore umano a del puro codice e finalmente completare la catarsi in UN’ ALTRA opera d’arte a sè stante. Da uomo a macchina, nuovamente, a uomo.”


Come avviene sempre nei primi momenti seguenti la nascita di un’avanguardia, si fatica a comprendere il significato, si guarda con sospetto.
Hiki pare però essere avvolto da una nube fortunata: i suoi lavori sono disponibili qui:
https://shop.plaguelabs.com/product/3-pixel-vandalism-shito-ikusei-prints?fbclid=IwAR39AyfoLFUrCxPfvkumQIH_fEQ0SI4W1szJLDCCC4iIZ8h8H2G4oQghIjw e sulla tela a tecnica mista presente in studio si sta addirittura battendo un’appassionata asta!